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I primi mesi: incontri e disincontri (3). Disincontri

Il pinguino imperatore maschio si fa carico di covare l’uovo e proteggerlo dal freddo invernale per due messi, fino alla schiusa

Per riflettere su cosa sia un legame primario patologico, come si genera e come può avere ripercussioni, faró un esempio reale.

Viene una madre al Centro di Prevenzione sulla Salute Infantile, perché l’infermiera durante il controllo di salute ha notato che la bimba, di 8 mesi, è molto irritabile, non si lascia avvicinare, e non sopporta che nessun estraneo le si avvicini.

Durante la visita, effettivamente vedo che la bimba, che ora ha 9 mesi, non si lascia avvicinare né esplorare da me, è stressata e spaventata dalla mia presenza per cui rimane immobilizzata tra le braccia della madre, guardandomi con timore. Non riesce a rilassarsi per cui non può staccarsi dalla mamma per guardare i giocattoli che ho lasciato a terra. 

Durante l’anamnesi, la mamma mi racconta di come la gravidanza sia stata un’epoca vissuta male tanto da lei come dal marito, per lo stress dovuto al fatto che entrambi sono stati licenziati e rimasti senza prospettive economiche, a quanto pare perché l’azienda ha voluto evitare i costi derivati dal congedo materno e paterno (in Spagna il padre ha diritto, come la madre, a 4 mesi). D’altra parte, essendo originari di un altro paese, non hanno avuto nemmeno l’appoggio dei parenti. La bimba è, quindi, nata in un momento di ansia, tensione, paura, e nel caso della madre in questione di elementi depressivi. 

I primi momenti dell’attaccamento partivano da condizioni davvero difficili, ed effettivamente a livello emotivo i genitori, data la grossa carica di stress che stavano affrontando, non avevano la disponibilitá emotiva necessaria per trasmettere tranquillitá alla bimba, per gestire con sufficiente serenitá i pianti e le angosce normali di un bebè e contenerli. 

Nei primi mesi di vita la figura primaria è la madre, é la fonte di vita e di alimento (nel caso di allattamento al seno), di riparo, di consolazione. Ma il ruolo del padre, nella prospettiva della triade, é fondamentale: la madre, infatti, negli inevitabili e molteplici momenti di stress che derivano dall’accudire una creatura cosí fragile e immatura, “triangola” con il suo compagno, che accoglie e contiene queste ansie. Se allarghiamo ancora di piú la prospettiva, anche la famiglia – nonni, zie… – svolge (o potrebbe svolgere) una funzione importante in questo senso, condividendo parte delle cure del piccolo, anche solo attraverso il confronto e la condivisione con i genitori.

In una situazione come quella appena illustrata, tanto il contenimento della madre al bimbo come quello del padre verso la madre sono stati alterati, sono insufficienti. Parliamo in questo caso di attaccamento di tipo ansioso, in contrapposizione con quello fisiologico, sano, che è l’attaccamento sicuro.

Ecco come il concetto di attaccamento in una visione globale, sistemica e trasversale non è e non deve essere colpevolizzante verso la madre. Per capirlo basta ampliare l’orizzonte e contemplare tutto il panorama per individuare quali e quanti elementi sono alterati – parliamo di fattori di rischio e fattori di protezione – e da dove viene la fonte di stress – in questo caso, da una mala prassi aziendale che colpisce al tempo stesso entrambi i genitori e altera per intero il benessere familiare, tutto ció in assenza di appoggi esterni come potrebbe essere la famiglia allargata – .

Allo stesso modo, al momento di disegnare un intervento di aiuto, dobbiamo tener conto di tutti questi elementi, del quadro complessivo, altrimenti sará uno sforzo inefficace, frustrante e, in questo caso sí, si puó cadere nell’errore di colpevolizzare la madre. Nell’equipe di prevenzione e intervento, proprio per questo, ci sono vari professionisti di diversa natura che si completano per affrontare i diversi aspetti della questione, e tra loro è determinante la figura dell’agente sociale per intervenire sulle cause sociali – ove vi siano – che stanno ostacolando il normale svolgersi dello sviluppo del bambino, quelli che chiamiamo determinanti sociali prossimali e distali della salute infantile.

Come abbiamo accennato, l’attaccamento dipende anche dal bambino (pur non essendo responsabile del suo buon esito). Pur essendo il lattante difficile da capire, non significa assolutamente che sia un soggetto passivo. Basti pensare agli esperimenti e alle scoperte della psicologia evolutiva, che hanno segnato un cambiamento radicale in questo senso, osservando che un bebè di pochi mesi giá è capace di iniziare il rapporto, cercarlo, sostenerlo, essere ricettivo e rispondere ai segnali sociali dei genitori – vedi l’esperimento del volto immobile, di Tronick, è disponibile su youtube -. 

Pensiamo al primo sorriso, quello significativo – lo chiamiamo sorriso sociale – verso i 2 mesi, come per magia un giorno quella creatura cosí piccola e primitiva giá è capace di cercare complicità, o restituirla, con un sorriso -. É il primo gesto non riflesso, non automatico della vita, ed è un gesto sociale. René Spitz definì gli indicatori dello sviluppo sano della psiche, e il sorriso sociale rientra tra questi segnali che le cose procedono bene.

Possiamo immaginare l’attaccamento – il legame primordiale, il rapporto tra il bebè e il genitore – come la colla che permette ai neuroni del bebè di agganciarsi tra loro per poter comunicare, e formare poco a poco le reti neurali.

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