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  • Con 2 años suma y multiplica. Y nos toma el pelo, también

    A 2 anni fa somme e moltiplicazioni. E ci prende in giro

    https://instagram.com/stories/papasenapuros_papaneiguai/3027987561712411677?utm_source=ig_story_item_share&igshid=MDJmNzVkMjY=

  • Pedagogia e genitorialità su instagram e reti sociali

    Negli ultimi mesi, volendo approfondire cosa circola oggi sulle reti sociali attorno alla genitorialità, ho smanettato un pò su instagram. Mi sono reso conto che:

    • I genitori della mia generazione, quelli che ora stanno iniziando ad avere figli o hanno bambini piccoli, usano le reti sociali come se fossero dei punti di riferimento cruciali, lì dove un tempo c’era la nonna o la zia di riferimento. È una tribù virtuale che sostituisce quella reale partendo però da un presupposto insufficiente: pensare che l’educazione di un figlio sia una questione di nozioni
    • Pur essendoci alcuni profili molto utili, la stragrande maggioranza, e parlo anche di quelli molti seguiti, danno informazioni ingannevoli, parziali e, soprattutto, semplicistiche, il che è pericoloso perchè da adito a che ogni madre o padre capiscano ciò che vogliono capire e, così, incorrano nel rischio di legittimare una teoria, un’abitudine, o uno stile che non fanno bene al bambino
    • L’aiuto “offerto” ai genitori dagli instagrammer in voga rientra, come tutto il resto di roba su instagram d’altronde, in una questione di mercato. Sono impresari dell’educazione in cerca di clienti. Tale fenomeno costituisce una sorta di conflitto d’interessi: l’informazione non viene data dall’onestà intellettuale di un esperto, ma dall’ansia di cavalcare l’onda di una moda per prendere like e così fare seguaci che comprino il prodotto. È il mercato dell’educazione, che oggi si spende sulle reti sociali: corsi online, formazioni presenziali, guadagni online grazie al numero di followers…
    • Molti “esperti” non hanno una formazione adeguata, e ripetono nozioni lette, anche loro, su internet, o ricevute in corsi online, per cui diffondono convinzioni basate su conoscenze superficiali o, peggio ancora, su ciò che circola di più, generandosi un fenomeno di autoamplificazione di una moda che porta a rafforzare stili educativi sbagliati

    Influencer che sentenziano soluzioni definitive a dubbi del tipo:

    Mio figlio ha 3 anni e ancora dorme malissimo, sono sfinita, che faccio?

    Il mio bambino non vuole saperne di mangiare tranne le stesse 3 cose di sempre, non fa niente?

    Non riesco a togliere il seno a mio figlio di quasi 4 anni, sono sfinita, però è segno di un buon attaccamento per cui non so che fare.

    Mio figlio di 1 anno è una PAS (Persona con Alta Sensibilità), è positivo vero?

    Le risposte che leggo tendono a tranquillizzare, incoraggiare o reinterpretare in chiave positiva, per poi rivelare 4-5 punti chiave essenziali per risolvere problema e, quindi, offrire il corso di turno.

    A questo punto voglio dire che:

    • Non esiste una risposta standard a domande del genere, così come non posso educare in modo uguale a 2 figli: ogni bimbo nasce con un temperamento. Sí, già alla nascita ognuno è diverso dall’altro, per cui la bravura dei genitori sta nell’adattare il proprio modo di rapportarsi, educare, porre limiti, incoraggiare, giocare, gestire le frustrazioni al temperamento del bambino. Probabilmente con un bimbo di temperamento tranquillo, pacato potrò dare limiti e contenimento più facilmente che con uno dal temperamento intenso, assorbente, per esempio un bambino di alta richiesta.
    • Un atteggiamento del bambino va interpretato in base all’età e, i primi anni di vita, a distanza di 6 mesi cambiano e maturano molte cose. I genitori si cimentano con questa continua sfida: adattare le rischieste che fanno al bambino alle sue capacità che dipendono, in gran parte, dall’età. Da un bimbo di 1 anno non ci si può aspettare che gestisca la frustrazione senza l’accompagnamento totale dell’adulto. Così come in un bimbo di 3 anni non si può normalizzare che chieda il seno davanti a qualsiasi piccola sfida o frustrazione per potersi calmare.
    • Ci sono regole o consigli molto utili che valgono per qualsiasi età; ma sono per lo più regole generiche e che richiedono una serie di precisazioni per poterle interpretare e non cadere negli errori sopra commentati.
    • Ci sono tendenze nella genitorialità di oggi che fanno necessario un accompagnamento ma deve essere dato da professionisti e attraverso il confronto diretto. In mancanza di questa possibilità spesso è meglio una chiacchierata tra amiche per condividere dubbi, preoccupazioni, soddisfazioni, orgogli, anche solo per sfogarsi, o una chiamata alla zia che la sa lunga su come crescere i bambini, che stare a smanettare ore al giorno su instagram. Perfino per il bimbo è molto meglio vedere la mamma e il papà che parlano al telefono o passano il tempo in compagnia, che vederli attaccati al cellulare!

    Link esterni

    https://nonsolopedagogia.it/i-rischi-dei-social-network/: Pedagogia e genitorialità su instagram e reti sociali https://www.nostrofiglio.it/bambino/psicologia/phubbing: Pedagogia e genitorialità su instagram e reti sociali https://www.adolescienza.it/sos/sos-genitori-adolescenti/stai-sempre-attaccato-al-telefono-quando-sono-i-figli-a-rimproverare-mamma-e-papa/: Pedagogia e genitorialità su instagram e reti sociali

    Altri articoli

  • Un parto doloroso (2)

    El parto no es nuestro

    Se piensa que cuando un parto se complica era inevitable. Como padre.

    Una piensa que si el bebé está bien y la madre se apaña con un postoperatorio no demasiado complicado, es que todo salió bien y ha hecho su trabajo, como sanitaria dedicada a la Obstetricia.

    Afortunadamente se lo que es un primer parto natural, quiero decir, vaginal. Vi a mi hijo salir de su madre gracias al esfuerzo de los dos, la madre empujando y el niño siguiendo con sus movimientos las contracciones del expulsivo. Tuve la suerte de estar a su lado para apoyarla en uno de los momentos de mayor vulnerabilidad de una mujer, y luego de estar ahí en el primer momento del bebé, de sentirlo mío en el momento en que salió y de sentirme acompañado de la comadrona y la ginecóloga.

    Esta vez ha sido muy diferente.

    Llegamos sin contracciones, con cita previa para una inducción programada para evitar un pequeño pero importante riesgo.

    Los medicamentos han provocado las contracciones, guiados por el criterio de una matrona que no nos seguía ni a nosotros ni a nuestro parto, sino a un protocolo aplicado de forma fría y sin tacto, sin ningún interés por nosotros, como si el bebé fuera algo desconectado y disociado de su mamá.

    Ha forzado la mano con la oxitocina porque lo único que importaba era tener – obtener – contracciones cada 2 minutos. Luego, una vez logrado, ha seguido forzando porque el cuello del útero no se dilataba con la velocidad “esperada”.

    Aunque le hubiéramos dejado claro que queríamos ir despacio, que no teníamos compromisos para este día, que preferíamos evitar contracciones demasiado violentas que pudieran hacer sufrir al feto y provocar una cesárea urgente, aunque también le hubiéramos dicho que somos pediatras pues necesitábamos participar en las decisiones médicas para estar tranquilos, siguió insistiendo y aumentando el ritmo de la oxitocina, asegurando que no implicaba ningún riesgo, que no se diferenciaba de las contracciones naturales, que el cuerpo lo necesitaba porque de lo contrario las contracciones disminuirían, desacreditando nuestras inútiles preocupaciones.

    Fue así que las contracciones se volvieron insostenibles para el bebé que empezó a sufrir, solo en la última fase apareció la ginecóloga, quien inmediatamente retiró la perfusión de oxitocina y agregó un fármaco para detener las contracciones. Salvo que este fármaco, así como el analgésico que la obstétrica le inyectó dos veces en vena, provocaron hipotensión en la madre, lo que agravó el sufrimiento del bebé, y venga corriendo al quirófano, cesárea de urgencia. Mi pareja entre lágrimas. Yo dejado fuera del quirófano con una frase “No puedes porque es de urgencia”. Ella sola. Me llamaron para pasarme a mi hija, un sentimiento de extrañeza tan diferente de aquel primer parto…

    Acto seguido la madre, con el vientre abierto mientras 4 médicos continuaban la operación, empezó a sentirse mal, le costaba respirar. Mientras me habían dejado volver a entrar, la veo con tensión muy baja, 53/40, aviso a la resi de anestesiólogía, al cabo de 1 minuto me encuentro afuera otra vez, la bebé en brazos, ella adentro en quirófano, sola, que no puede respirar.

    A los 20 minutos la traen semiinconsciente por los medicamentos: había sufrido una hipotensión aguda por hemorragia debida a hipotonía uterina, la misma ginecóloga me comenta que había sido por el medicamento que le había tenido que dar para detener el contracciones violentas (nifedipino). Además, sabíamos que tanto el nifedipino como las dos inyecciones de lidocaína decididas por la comadrona dan hipotensión, y que a la hora de administrarse la tensión de la mamá ya estaba peligrosamente baja (la lidocaina administrada por la comadrona sin nuestro consentimiento ni el de la ginecóloga, simplemente había dado la órden de administrar a la resi de anestesia).

    Al sentir la falta de aire, la madre, con el útero aún abierto, había tenido un ataque de pánico – lo que llaman crisis de agitación -, por lo que había sido sedada y, ahora que la traían de vuelta, no estaba consciente, su bebé allí, en mis manos, las manos del padre, yo que la sostenía sin haber podido procesar nada… No se como un momento tan importante y hermoso se pudo haber convertido en algo triste – si hubiésemos esperado, si nos hubiera escuchado, que perdía por ir más despacio? –

    Han pasado 5 días y no me doy paz, no he podido sentir y no siento esa magia, una de las emociones más hermosas que he sentido con el primero, pisada por remordimientos, rabia, la culpa por no haber podido evitar, no haber podido proteger a la niña y a su madre, por no haber sabido imponer nuestra voluntad, nuestro deseo, nuestro criterio, no haber sido lo suficientemente firme, no haber afirmado que la maternidad, la paternidad, el parto, eran nuestros.

    El parto es un momento de enorme vulnerabilidad y lamentablemente nos encontramos indefensos, obligados a depender no solo de la esperanza sino, al menos en parte, de la comadrona que nos ha tocado ese día.

    Han pasado casi 6 días y todavía no siento, como padre, que el niña sea mía: no estuve en los momentos más difíciles, no estuve para apoyar a la madre a acompañar a la niña a salir, yo estaba fuera, me entregaron a la bebé bebe cuando estaban listos.

    La comadrona nunca se disculpó, ni siquiera dijo lo siento, supongo que estará orgullosa de haber realizado una inducción a pie de la letra, y luego una cesárea heroica y exitosa.

    https://www.natalben.com/que-es-como-actua-oxitocina#:~:text=Oxitocina%20en%20el%20parto%2C%20lactancia,cuello%20uterino%20y%20el%20alumbramiento.

    https://www.elpartoesnuestro.es/informacion/parto/administracion-de-oxitocina-sintetica

    https://www.elpartoesnuestro.es/informacion/parto/el-papel-de-la-oxitocina-y-otras-hormonas

  • Un parto doloroso (2)

    Il parto non è nostro

    Uno pensa che quando un parto si complica sia inevitabile. Come genitore. 

    Uno pensa che se la bimba sta bene e la mamma se la cava con un postoperatorio tutto sommato è andata bene, e ha fatto il suo lavoro, come sanitaria.

    Io fortunatamente ho vissuto un primo parto naturale, voglio dire per via vaginale. Ho visto mio figlio uscire dalla mamma grazie agli sforzi di tutti e due, mamma che spingeva e bimbo che seguiva le contrazioni dell’espulsivo con i suoi movimenti. Ho avuto la fortuna di essere a fianco a lei per sostenerla in uno dei momenti di maggiore vulnerabilità di una donna, la fortuna poi di esserci nel primo momento del bebè, di sentirlo mio nell’istante in cui usciva, e di sentire che la funzione di infermiere e ginecologa era di accompagnarci.

    Questa volta è stato molto diverso. 

    Siamo arrivati senza nessuna contrazione, su appuntamento per un induzione programmata per evitare un rischio piccolo ma importante. 

    Le medicine hanno provocato le contrazioni, guidate dal criterio di un’ostetrica che non seguiva noi né il nostro parto, ma un protocollo applicato in modo freddo e senza nessun tatto, senza interesse verso di noi, come se il bebè fosse un’entità disconnessa e dissociata dalla mamma. 

    Ha forzato la mano con l’ossitocina perché l’unica cosa importante era ottenere contrazioni ogni 2 minuti. Poi, una volta ottenute, ha continuato a forzare perché il collo dell’utero non si stava dilatando con la velocità “aspettata”. 

    Nonostante le avessimo fatto capire che volevamo andare piano, che non avevamo impegni, che preferivamo evitare contrazioni troppo violente che rischiavano di far soffrire il feto e provocare un cesario urgente, nonostante le avessimo anche detto che siamo medici pediatri per cui avevamo bisogno di partecipare alle decisioni mediche per poter stare tranquilli, ha continuato a insistere e ad aumentare la velocità dell’ossitocina, asserendo che non comportava nessun rischio, che non differiva da contrazioni naturali, che il corpo ne aveva bisogno perché se no le contrazioni sarebbero scemate, discreditando le nostre inutili preoccupazioni.

    Così le contrazioni sono diventate insostenibili per il bebè che ha iniziato a soffrire, solo nell’ultima fase è apparsa la ginecologa,che subito ha tolto l’infusione di ossitocina e aggiunto un farmaco per fermare le contrazioni. Se non che questo farmaco, così come l’antidolorifico che l’infermiera ha iniettato in vena due volte, hanno provocato ipotensione nella mamma, il che ha aggravato la sofferenza del bebè, per cui di corsa in sala operatoria, cesario urgente, la mia compagna con le lacrime, io lasciato fuori, lei sola. Mi hanno chiamato per consegnarmi mia figlia, una sensazione di estraneità così diversa da quel primo parto. 

    Subito dopo la mamma, con la pancia aperta mentre 4 sanitari continuavano l’operazione, ha iniziato a avvertire un malore, non riesce a respirare. Intanto mi avevano lasciato rientrare, vedo la sua pressione bassissima, allerto l’anestesiologa, dopo 1 minuto mi ritrovo di nuovo fuori con la bimba in braccio, lei sola che non riesce a respirare.  

    Dopo 20 minuti la portano seminscosciente per i farmaci: aveva sofferto un’ipotensione acuta per emorragia dovuta a ipotonia uterina, la stessa ginecologa mi accenna che era stata provocata dalla medicina che le aveva dovuto dare per frenare le violente contrazioni (nifedipina). Oltretutto sapevamo che sia la nifedipina che le due iniezioni di lidocaina volute dall’infermiera davano ipotensione, e che le aveva decise quando già la pressione era pericolosamente bassa (ovviamente senza consenso né nostro né della ginecologa, aveva semplicemente ordinato all’anestesiologa, in quanto specializzanda alle prime armi. 

    Sentendo la mancanza di aria la mamma, a utero ancora aperto, aveva avuto una crisi di panico, per cui l’avevano sedata e ancora non era cosciente, la sua bimba lì,tra le mie mani, le mani del papà, che non sapeva come un momento così importante e bello si fosse potuto trasformare in un brutto momento, se avessimo aspettato,se ci avesse ascoltato,cosa ci perdeva a andare con più calma? 

    Sono passati 5 giorni e non mi do pace, non ho potuto sentire e non sento quella magia, una delle emozioni più belle che abbia provato, dei primi momenti, calpestata dal dispiacere, dal rimpianto, dai sensi di colpa per non aver saputo evitare, per non aver saputo proteggere la bimba e la sua mamma, la mia compagna, per non esserci saputi imporre, per non essere stati abbastanza fermi,non aver reclamato in modo abbastanza convincente che la paternità, il parto, erano nostri.

    Il parto è un momento di enorme vulnerabilità e purtroppo, ci si trova indifesi, costretti a affidarsi oltre che alla speranza, almeno in parte, alla sanitaria che è toccata.

    Sono passati quasi 6 giorni e ancora non sento che la bimba è mia come padre: non c’ero nei momenti più difficili, non ero lì a sostenere la mamma per accompagnare la bimba a uscire, ero fuori. La bimba me l’hanno consegnata. La mamma, la mia compagna, l´hanno riportata dopo.

    L’ostetrica non si è mai scusata, nemmeno ha detto mi dispiace, immagino sia fiera di aver compiuto un’induzione alla regola con cesario eroico andato a buon fine. 

  • Un parto doloroso (1)

    Maternidad respetada

    Barcelona. Estamos hospitalizados en el hospital en plena inducción del parto. Considerado entre los mejores hospitales por la parte de Ginecología y Obstetricia. Hemos dado la lata a todos los sanitarios que han pasado por nuestra habitación: la residente comadrona, quien enseguida ha pedido socorro a la comadrona de guardia, quien a su vez ha pedido auxilio a la ginecóloga de guardia. Una vez pasados a la zona de parto, el mismo proceso: llenamos de dudas y preguntas a todos los sanitarios uno tras el otro, siempre con amabilidad y disculpándonos por ser médicos y necesitar poder seguir el proceso, imaginándolos ir inmediatamente después a desahogarse con sus compañeros por esos dos pesados que cuestionan todo hacemos punto por punto.

    Una vez cambiada mi perspectiva de la medicina y la obstetricia de la inicial que te inculcan en la residencia – los protocolos internos hospitalarios vistos como intocables por tener base científica – a la de individualizar cada caso, hacerse cargo de la persona y no de la enfermedad, considerar el cuadro global y no el esquema protocolario aislado de la persona, me di cuenta, entre otras cosas, de cómo se normaliza la violencia obstétrica, muchas veces con las mejores intenciones. Una vez entendido lo que implica la visión de parto respetuoso, ahora que me toca a mí pasar al otro lado de la camilla, el de paciente – en este caso de pareja y padre acompañante – me siento a ratos impotente y hasta víctima de cómo estos vacíos afectan concreta y materialmente procesos fundamentales de la vida, en concreto el parto: visión limitada de los especialistas, desconocimiento, atención absorbida por el cumplimiento de protocolos para no exponerse ni emocionalmente ni como profesional –la medicina defensiva-.

    Antes del ingreso nos entregaron el Plan de nacimiento para una Maternidad respetada, un documento fantástico para un hospital público, que me tranquilizó mucho: partícipes y protagonistas de las decisiones en todo momento, acompañados por la matrona en todo el proceso, todas las decisiones con nuestro consentimiento, posibilidad de baño, movimientos libres para estimular las contracciones gracias a la monitorización inalámbrica, posibilidad de filmar el parto con cámaras instaladas…

    Realidad: el monitor inalámbrico no funcionaba por lo que había que limitar los movimientos hasta donde llegaba el cable, la cámara no funcionaba, la matrona en vez de acompañar informaba lo que había que hacer sin ningún tipo de empatía, contacto emocional, sobre todo sin escucha; en cuanto a respetar nuestro consentimiento no hubo interés en lo más mínimo; en cuanto al baño, sin poder movernos de alrededor de la camilla ni siquiera preguntamos.

    Sin embargo, ya habíamos vivido un parto en este hospital y todo había fluido como un proceso natural, nos habíamos sentido acompañadas, sin que nos ofrecieran cámaras para filmar ni monitores inalámbricos, ni siquiera el fatídico Plan de nacimiento para una maternidad respetada. ¿La diferencia? el lado humano

    https://www.elpartoesnuestro.es/informacion/parto/administracion-de-oxitocina-sintetica

    https://www.elpartoesnuestro.es/informacion/parto/el-papel-de-la-oxitocina-y-otras-hormonas

    https://www.natalben.com/que-es-como-actua-oxitocina#:~:text=Oxitocina%20en%20el%20parto%2C%20lactancia,cuello%20uterino%20y%20el%20alumbramiento.

  • Un parto doloroso (1)

    Prima parte. Maternità rispettata

    Barcellona. Siamo in ospedale in piena induzione del parto. Considerato tra i migliori ospedali per la parte di Ginecologia e Ostetricia. Abbiamo fatto una testa così a tutti i sanitari che sono passati per la nostra stanza, nella zona ricoveri: la specializzanda di ostetricia,che subito ha chiamato ausilio per cui siamo passati all’ostetrica di guardia, che a sua volta ha attivato la ginecologa di guardia. Passati alla zona parto stesso processo: abbiamo riempito di dubbi e reticenze una a una tutte le sanitarie, immaginandole andare subito dopo a sfogarsi con le colleghe per quei due pesantoni che, siccome sono medici, mettono in discussione tutto quello che facciamo punto dopo punto.

    Una volta cambiata la prospettiva della medicina e dell’ostetricia dai protocolli interni dell’ospedale visti come intoccabili perché su base scientifica, a quella di individualizzare caso a caso, prendere in carico la persona e non la malattia, considerare il quadro globale e non lo schema protocollario… Resomi conto di quanto sia normalizzata la violenza ostetrica spesso con le migliori intenzioni, una volta capito cosa implica la visione di un parto rispettoso, ora che tocca a me passare dall’altro lato del lettino – quello del paziente, in questo caso genitore accompagnante – mi sento addirittura succube, in alcuni momenti, di come queste lacune incidono concretamente e materialmente su processi fondamentali della vita, nella fattispecie un parto: ristrettezza di visione degli specialisti, ignoranza, attenzione assorbita dall’adempimento dei protocolli per non esporsi né emotivamente né come professionista – la medicina difensiva -. 

    Prima del ricovero ci hanno consegnato il Piano di nascita per una maternità rispettata dell’ospedale, un documento fantastico per essere un ospedale pubblico, che mi tranquillizzó molto: partecipi e protagonisti nelle decisioni in ogni momento, accompagnati dall’ostetrica in tutto il processo, nessun atto medico innecessario né sensa il consenso nostro, possibilità di bagno, movimenti liberi per stimolare le contrazioni grazie a un monitoraggio senza cavi, possibilità di riprendere il parto con telecamere installate…

    La realtà: il monitor senza cavi non funzionava per cui i movimenti dovevano essere limitati alla lunghezza del cavo, la telecamera non funzionava, l’ostetrica più che accompagnare informava di quello che era necessario fare senza nessun tipo di empatia, contatto emotivo, soprattutto nessun ascolto; il nostro consenso nè lo cercava nè le interessava minimamente; del bagno figuriamoci, senza potersi allontanare dal lettino non abbiamo nemmeno chiesto.

    Eppure già avevamo vissuto un parto in quell’ospedale ed era stato tutto naturale, ci eravamo sentiti accompagnati, senza che ci fossero state offerte telecamere per riprendere nè monitor senza cavi, nemmeno il fatidico Piano per un parto rispettoso. La differenza? Il lato umano

    https://www.elpartoesnuestro.es/

    https://www.natalben.com/que-es-como-actua-oxitocina#:~:text=Oxitocina%20en%20el%20parto%2C%20lactancia,cuello%20uterino%20y%20el%20alumbramiento.

    https://www.elpartoesnuestro.es/informacion/parto/el-papel-de-la-oxitocina-y-otras-hormonas

    https://www.elpartoesnuestro.es/informacion/parto/administracion-de-oxitocina-sintetica

  • Alimentación complementaria… A demanda? (4)

    Vamos a mirar los ejemplos del post anterior que aquí recupero:

    Ejemplo 1. Los padres de Nuria son aficionados de la metodología Montessori, y les han dicho en un grupo de mamás que conviene que el niño coma en una trona a altura suelo para que sea Autónomo, se siente solo y apoye los pies al suelo. Nuria tiene 2 años, es una niña muy simpàtica, muy sociable y, por lo general, es un terremoto. Le cuesta más que a otros niños parar quieta. A la hora de comer se va a sentar en su trona y empieza, però enseguida tiene el impulso de levantarse e ir a jugar.

    Ejemplo 2. Miguel es un niño de 1 año y 6 meses curioso y con mucho caràcter por lo que, cuando lo ponen en la trona a comer, quiere tener su cuchara y comer él solo. Lo que pasa es que aún le cuesta manipular cubiertos, y la comida acaba puntualmente por todos los lados menos en su boca.

    Ejemplo 3. Fran es un bebè de 10 meses. Los padres confian mucho en el Baby-Led Weaning y, desde la primera comida, le sirven trocitos para seguir el método. Fran empieza a llevarse algun trocito a la boca ocasionalmente pero de lo que realmente disfruta es de jugar con la comida: toca la comida, luego la coge y la va espalmando por todo el plano de comer de su trona, finalmente la tira al suelo, y le encanta! El papà està desesperado porque quiere que coma algo de compementaria ya que la mamá se ha reincorporado al trabajo y ya no le puede dar tanto el pecho, y por otro lado no quieren darle leche artificial.

    Ejemplo 4. Joaquim tiene 14 meses, la madre acaba de hacer el destete y a partir de ahí se ha enganchado al biberón, lo busca cada vez para consolarse, sobretodo en la noche para volverse a dormir cuando se despierta. Sus papis están preocupados: tienen miedo a que se inche a leche, engorde y no coma nada de complementaria.

    Vamos a mirar cada caso…

     
    En el primer caso, ayudaría mucho probar una trona clàssica, de las que se ponen a la altura de la mesa de comer, para que Nuria no tenga todo el rato a mano (o en este caso a pie) la tentación de levantarse e ir a jugar.

    En el segundo, mientras Miguel va experimentando con la cuchara, el papà o la mamá le pueden ir ofreciendo comida con otro cubierto, además esto ayudará a que no se frustre por no poderse saciar él solo.

    En el ejemplo 3, un poco de lo mismo: si a Fran aún le motiva más jugar con la comida que alimentarse no pasa nada, le podemos ayudar nosotros llevándole algún trocito a la boca, incluso usando las manos sin cubiertos.

    En el último caso, podemos pensar en remplazar los biberones de la noche que Joaquim ansia como sustitutos del pecho para calmarse, e incluso algun biberón del día, con biberones de agua (o leche diluida con agua), en cuanto el agua lleva muy pocas calorías, no le quitará tanto el hambre y el interés por comer, ni le engordará.


    Hay infinitos ejemplos, tantos cuantos son las familias que lidian con la alimentación complementaria. En muchos caso buscan estrategias para adaptarse al niño y, finalmente, dan con la solución al problema. En unos cuantos casos cuesta más y la cosa se puede complicar

    Link útiles

    Criar con sentido común http://www.criarconsentidocomun.com

    Link a artículos del mismo tema

    https://unpapaenapuros.com/2023/01/24/baby-led-weaning-alimentacion-complementaria-a-demanda-3/

    Baby-led weaning e alimentazione complementare… a richiesta? (2)

    Baby Lead Weaning y alimentación complementaria… a demanda? (1)

  • La primera comida de su vida

    Comer, qué pasión!

    De repente mira asiduamente la manzana de la mamá, con intención que no deja lugar a las dudas, la prueba… Y es pasión

    Prime volte. Alimentazione complementare

    Mangiare, che passione!

    Improvvissamente fissa la mela della mamma con intenzioni chiarissime, la prova… Ed è passione

  • Papà in crisi. Essere padre oggi

    Perchè è difficile?

    È difficile perché ti devi mettere in discussione. I ruoli di padre e madre sono cambiati molto in poco tempo e non si può più imitare il vecchio modello di padre. È obsoleto. È superato, accanto al modello di uomo che tuo padre, e tutti gli uomini con cui sei cresciuto, in qualche modo hanno incarnato.

    È cambiato appresso al modello di donna, e a quello di madre. Ma c’è una grande differenza. Quello che le donne che hanno imparato dalle loro madri sul loro ruolo si è rapidamente trasformato in relativamente pochi anni. Ma quello che hanno imparato sulla maternità dalle donne della loro vita – la mamme, le zie, le amiche di famiglia – è ancora in valido, basato sugli stessi istinti, tensioni, capacità.

    Il modello paterno, invece, si è radicalmente trasformato radicalmente.

    Veniva dal modello patriarcale: il padre padrone, quello che governava su moglie e figli, ma soprattutto quello che restava fuori dalla genitorialità perché era una cosa da donne. C’erano delle eccezioni, ovviamente, e meno male. Ma quelle eccezioni che erano padri molto coinvolti nella genitorialità, che srescevano i figli con attaccamento, affetto, attraverso il gioco, l’ascolto… Questi erano superpapà, genitori eccezionali. E gli altri andavano bene, purché portassero il pane a casa in mantenesse la famiglia, da brav’uomo.

    Non è più così.

    Oggi papà non ha scuse. O non dovrebbe averne.

    Oggi sappiamo che essere genitori è una questione di due. Ma fino a poco fa era sempre stata una.

    Papà in crisi? Uomo in crisi!

    Mentre la donna si è emancipata in altre sfaccettature dell’essere donna, l’uomo è come se non si fosse evoluto, non avesse fatto conquiste perché, in termini di genere, aveva già tutto. Così ora, all’improvviso, deve imparare ad essere padre a 360º, senza averlo scelto, senza che nessuno glielo abbia insegnato, senza modelli da seguire.

    E, oltre a fare il padre, da buon padre deve imparare a fare le faccende di casa che suo padre non ha mai fatto. Non dico cucinare o fare la spesa perché fino a lí i nostri genitori, almeno in molte parti del mondo, ci arrivavano. Ma lavare, asciugare, pulire, stirare, mettere in ordine… Andare a lavorare non basta più, non è più motivo di riconoscenza, lo fanno anche le donne, e sono anche bravissime: se ne hanno l’opportunità, sono ottimi professionisti in qualsiasi campo, niente da invidiarci.

    E allora, decostruisciciti!

    Ma come decostruirci?

    Decostruisci e ricostruiscici

    Il modello tradizionale di uomo non vale più niente, e i tanti che sopravvivono non hanno nulla di cui andare fieri, e in ogni caso sono antiquati, destinati all’estinzione. Ma soprattutto hanno torto, e non è più questione di opinioni ma un principio oggettivo di giustizia, di equità.

    Dobbiamo metterci in discussione, perché inevitabilmente ci portiamo dietro l’eredità di generazioni di uomini prima di noi, ci è stata inculcata fin dall’infanzia, più o meno consapevolmente – o inconsapevolmente – ce la portiamo dentro. E per la prima volta nella storia essere uomo non è più un merito, né un valore, almeno non quel valore che pensavamo.

    Papà in crisi

    Con questo voglio dire che ora i padri non hanno vita facile. Perché quando uno si identifica solo come uomo, non deve necessariamente affrontare alcuna crisi, si mette in discussione se lo vuole, si misura con chi vuole e con chi non vuole, no.

    Dal momento che diventi padre non hai scampo, devi misurarti con te stesso: con tutte le tue mancanze di uomo e di padre, e allora la musica cambia. Allora sì che devi metterti in discussione con tante piccole e grandi cose che avevi dato per scontato, non ci sono più scuse.

    È dovuto. È giusto. Ma non è facile. Prima venivano giudicate le mamme, sempre a rischio di finire nel club delle cattive madri o delle cattive donne, un peso che si portano da tempo.

    Ora, e per la prima volta, possiamo essere cattivi genitori, anzi siamo molto facilmente cattivi genitori, perché stiamo cercando di fare qualcosa senza aver visto i nostri farlo prima. E sbagliamo, tutto il tempo. All’improvviso dobbiamo guardarci allo specchio nudi, senza addosso il travestimento dei nostri padri, e ci ritroviamo incompleti, pieni di difetti, e fa male perché non eravamo abituati. Improvvisamente capiamo cos’è l’autoesigenza come uomini, come partner, come genitori. E all’improvviso è più facile identificarsi con loro.

    Un nuovo papà

    Siamo forse la prima generazione a impersonare un nuovo papà, e probabilmente daremo solo un contributo senza terminare l’opera: saranno le generazioni successive a continuare la metamorfosi.

    Ma cosa significa questo cambiamento per noi, che lo stiamo vivendo adesso?

    Per me significa avere l’opportunità di essere migliore dei nostri antenati. E migliorarci come persone.

    Non sarò completo, continuerò a essere disordinato, continueranno a sfuggirmi i dettagli nelle cose di casa, sarò sempre frettoloso, un pò arronzone, perché non me l’hanno mai insegnato. È una lezione di umiltà.

    Ma sicuramente sarò migliore di come sarei stato senza questa sfida moderna. Non tanto perchè impararerò ad essere un po’ più ordinato, più rigoroso, più pratico nelle cose di casa, ma anche. Soprattutto per aver imparato una cosa che da generazioni non ci è mai stata davvero insegnata, e che è così importante per essere veri, al di là dell’apparenza e dei ruoli: l’umiltà.

    C’è un altro aspetto che mi sembra di un valore incommensurabile: possiamo goderci i nostri figli.

    Ascoltarli, giocarci, correre con loro e aiutarli a rialzarsi quando cadono accanto a noi.

    Essere più vicini che mai alle loro emozioni, al loro essere.

    Essere i loro confidenti, poter asciugargli le lacrime, poter godere di tornare a essere bambini insieme a loro.

    Non dobbiamo più fingere di essere i forti, i duri, quelli che non sbagliano, quelli che non piangono. E possimo insegnare tutto questo a loro.

    Altri post sul rapporto padre-figli@

    https://unpapaenapuros.com/2023/01/05/stimolare-lo-sviluppo-0-12-mesi-2-lalimentazione/
    INIZIO

  • Papà en apuros. Ser padre hoy

    Por qué cuesta?

    Te cuesta porqué te cuestionas. Los roles de padre y madre han cambiado mucho en poco tiempo y ya no puedes recalcar el modelo viejo de padre. Ya está desactualizado. Está superado, junto al modelo de hombre que tu padre, y todos los hombres con quién te has criado, de alguna manera encarnaron.

    Ahora bien, el modelo de mujer también ha cambiado, y el de madre. Y mucho. Pero hay una gran diferencia. Lo que han aprendido de sus madres sobre el rol de mujer se ha transformado rápidamente en relativamente pocos años. Pero lo que han aprendido sobre ser madres de las mujeres de sus vidas – de sus madres, se las abuelas, las tías, las amigas – sigue vigente, sigue basándose en los mismos instintos, tensiones, capacidades.

    El modelo de padre, en cambio, se ha transformado radicalmente.

    Venía del modelo patriarcal: el padre padrón, el que mandaba sobre mujer e hijos, pero sobretodo el que se mantienía al margen de la crianza porqué era cosa de mujer. Habían excepciones, claro, y menos mal. Pero esas excepciones que se involucraban en la crianza, que enlazaban con sus hijos un vínculo desde el apego, el cariño, el juego, la escucha… Estos eran superpapis, padres excepcionales. Y los demás eran buenos, mientras trajeran a casa el sueldo para que la familia pudiera sustentarse.

    Esto ya no es así.

    Hoy el papá no tiene excusas. O no debería tener.

    Hoy sabemos que la crianza es cosa de dos. Pero siempre había sido cosa de una.

    Papá en crisis? Hombre en crisis!

    Mientras la mujer se ha emancipado en otras facetas del ser mujer, el hombre es como si no hubiera evolucionado, no ha hecho conquistas porque, en términos de género, ya lo tenía todo. Así que ahora, de repente, le toca aprender a ser padre a 360º, sin haberlo escogido, sin que nadie le enseñara, sin tener modelos a los que acogerse.

    Y, junto con ser padre, le toca aprender a hacer las tareas del hogar que su padre nunca hizo. No digo cocinar o hacer la compra porqué hasta ahí en muchas partes del mundo nuestros papás llegaban. Pero lavar, tender, limpiar, planchar, ordenar… Ya no basta con ir a trabajar, ya no es un motivo para darle las gracias, si es que las mujeres también lo hacen, y además se les da muy bien: si se les da la oportunidad son excelentes profesionales en cualquier campo, nada que envidiarnos.

    Así que venga, a deconstruirnos!

    Pero como que deconstruirnos?

    Deconstruirnos y reconstruirnos

    El modelo de hombre tradicional ya no vale nada, y los muchos que sobreviven no tienen nada de que ser orgullosos, en todo caso están anticuados, destinados a la extinción, pero sobretodo están equivocados, y esto ya no es una cuestión de opiniones sino un principio objetivo de justicia, de equidad.

    Nos toca cuestionarnos, porque inevitablemente arrastramos el legado de generaciones de hombres antes de nosotros, se nos lo ha inculcado desde niños, de forma más o menos consciente lo llevamos adentro. Y por primera vez en la historia ser hombre ya no es un mérito, y tampoco es un valor, al menos no el que nos hicieron creer.

    Papá en crisis

    Con esto quiero decir que ahora los papás no lo tenemos fácil. Porqué mientras uno solo se identifica como hombre no tiene por qué confrontarse necesariamente con ninguna crisis, se cuestiona si quiere, se confronta con quién quiere, y con quién no quiere no.

    Pero a la que eres papá ya no tienes escapatoria: te tienes que confrontar contigo mismo, con todas tus faltas como hombre y como padre, y entonces cambia la historia. Ahí sí, no queda otra que cuestionarte en todo lo que habías dado por sentado, por hecho, ya no hay excusas.

    Es debido. Es justo. Pero no es fácil. Antes las madres venían juzgadas, siempre en riesgo de acabar en el club de las malas madres o malas mujeres, llevan tiempo cargando con este peso.

    Ahora, y por primera vez, podemos ser malos padres, es más, muy fácilmente somos malos padres, porqué estamos intentando hacer algo sin haber visto a los nuestros hacerlo antes, y nos equivocamos, todo el rato. De repente nos tenemos que mirar al espejo desnudos, sin el disfraz que les habían dado a nuestros papás, y nos encontramos muy incompletos, llenos de defectos, y nos duele mucho porqué no estábamos acostumbrados. De repente entendemos qué es la autoexigencia como hombres, como parejas, como padres. Y, de repente, es más fácil identificarnos con ellas.

    Un nuevo papá

    Somos quizás la primera generación que personifica un nuevo papá, y probablemente solo daremos una aportación sin llevar la obra al cabo: serán las generaciones después las que seguirán la metamórfosis.

    Pero qué implica este cambio para nosotros, que lo estamos viviendo?

    Para mi quiere decir tener la oportunidad de ser mejor que nuestros antepasados. Y mejorarnos a nosotros como personas.

    No seré completo, fácilmente me seguirá costando mantener la casa ordenada, fijarme en los detalles de limpieza, tener controlada la lista de los pendientes del hogar, porqué nunca me lo enseñaron. Es una lección de humildad.

    Pero seguramente seré mejor de lo que hubiera sido sin este reto. No tanto por aprender a ser un poco más ordenado, más riguroso, más práctico, que también. Sobretodo por aprender esto que tan mal se nos ha dado por generaciones y que es tan importante para ser, de verdad, más allá de aparentar: la humildad.

    Y hay otro lado que me parece de un valor incomensurable: podemos gozar de nuestros niños.

    Escucharlos, jugar, correr con ellos y ayudarles a levantarse cuando se caen al lado nuestro.

    Estar más cerca que nunca a sus emociones, a su ser, ser sus confidentes, secar sus lágrimas, disfrutar de volver a ser niños junto a ellos.

    Ya no tenemos que fingir que somos la figura fuerte, los duros, los que no se equivocan, los que no lloran. Y enseñarles todo esto

    Post sobre papá en apuros

    Papá en apuros (intro)

    Papá en apuros (2). Conciliación

    Papá en apuros (3). Primeros encuentros

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